05/06/14

metafore #1

Prendiamo una metafora. Una bella metafora succosa, una di quelle che passa di bocca in bocca, che viene declamata con le adeguate pause e poi ripresa nei titoli di testa dei giornali. Una delle metafore che ha deciso il risultato delle ultime elezioni europee, e che è stata usata non poco nel commentarne il risultato.

Questo è un derby fra la rabbia e la speranza

L'autore è sconosciuto, la faccia è di Matteo Renzi, la metafora è una variante ad hoc di uno standard della politica italiana

la politica è il calcio

Inaugurata da Silvio Berlusconi fin dal suo primo apparire sulla scena pubblica (i.e. Discesa in campo), essa era probabilmente intesa all'inizio come un modo di esibire l'estraneità dell'oratore al vecchio e stantio gergo della politica, e la sua vicinanza agli interessi veri e sinceri dello spettatore (il calcio, come anche in altre occasioni il sesso o i soldi). Allo stesso tempo, proferita dal presidente del Milan, portava l'attenzione sulle qualità dirigenziali dello stesso. Innestandosi sull'altra fondamentale metafora del partito-azienda, la metafora calcistica rendeva chiaro fin da subito il carattere dell'impegno politico del compianto Lìder, come i suoi ancora amano chiamarlo



Le metafore funzionano quando le immagini sovrapposte sono abbastanza coerenti da far sembrare sensata la sovrapposizione dell'una all'altra. La loro funzione principale nel discorso politico è quella di rimuovere elementi di complessità, riducendo l'impegno intellettuale necessario a comprendere la situazione e al contempo consentendo una identificazione emotiva dell'interlocutore che risulterebbe impossibile a partire da una descrizione (che si sforzasse di essere) neutrale/letterale della situazione.
La metafora calcistica assolve ad entrambe le funzioni, e penetra a fondo nella coscienza degli italiani. Proviamo dunque ad analizzarla.
Una partita di calcio è un gesto sportivo, governato da regole, nel quale due squadre si contendono alla pari la vittoria, che dipende dalla prestazione, dall'arbitraggio, dalle condizioni atmosferiche e non poco dalla fortuna. I giocatori sono dei professionisti. L'adesione emotiva degli spettatori alle sorti dell'una o dell'altra squadra dipende spesso da una lunga abitudine (spesso trasmessa per generazioni) ed è sempre priva di un motivo razionale. Gli spettatori, a parte questa adesione, non hanno nessun rapporto con ciò che accade dentro il campo. Il motivo principale per cui si giocano le partite è lo spettacolo. La vittoria e la sconfitta, hanno grande valore emotivo per il pubblico, grande valore economico per la società sportiva, e si riflettono sulla carriera sportiva del calciatore, ma al di la di questi effetti consistono essenzialmente in un simbolo, spesso a forma di coppa, che serve a dare senso allo sforzo del gioco.



Queste caratteristiche assolutamente banali del rituale collettivo che chiamiamo "partita", se prendiamo sul serio la metafora di Renzi, dovrebbero riprodursi nel rituale collettivo che chiamiamo "elezioni". Si fronteggiano due squadre sostanzialmente omogenee dal punto di vista delle pratiche (Come i calciatori, i politici giocano più o meno lo stesso gioco, che si chiama "comunicazione politica" e una volta si chiamava "propaganda", obbediscono entrambi ad una serie di convenzioni, hanno alle spalle una società sportiva la cui struttura è sostanzialmente la stessa, chiamata "partito" o "movimento"). A prescindere dalla essenziale differenza delle maglie (la differenza superficiale deve risultare massimamente visibile) i candidati giocano lo stesso gioco, che è però un gioco comunicativo. Devono collaborare per non contraddirsi all'interno dello stesso partito, e gareggiano secondo regole (par condicio, non si insulta Napolitano).
La comunicazione o propaganda politica, se si deve dare retta alla metafora, non è una questione di idee, ma di abilità, di fantasia. Vincerà il più bravo, non perché aveva ragione e gli è stata riconosciuta (dopotutto, non stava dicendo nulla) ma perché è più bravo. Il modello è quello incredibilmente nuovo del sofista platonico, non evocato esplicitamente, ma implicitamente attraverso l'accostamento: l'azione sportiva è un gesto autoconcluso, che non si riferisce a nulla, il cui valore si giudica dall'effetto. Come il discorso pienamente retorico.

Gorgia da Lentini
Il momento in cui tuttavia possiamo arrivare a toccare il vero genio, è quando consideriamo i due riti collettivi "partita" ed "elezioni" secondo il rapporto fra il pubblico/popolo ed il campo di gioco. Anche se a volte uno stadio pieno di supporters può mettere il fuoco nelle gambe di una squadra, in buona sostanza (invasioni di campo a parte) il pubblico non deve né può intervenire nella partita. Il pubblico, passivo ed inessenziale, agita bandiere. I giocatori, attivi, muovono le gambe e calciano.
Alle elezioni, il pubblico fa non solo la parte del pubblico, ma anche quella del campo e della palla: i politici si rimandano l'un l'altro argomenti destinati a catturare l'attenzione (si potrebbe istituire, parallelo al "possesso palla" il parametro del "possesso di attenzione", ed in qualche forma è stato fatto) conquistano posizioni non sul terreno, ma nell'indice di gradimento. Perché la metafora regga, tuttavia, è necessario che il pubblico rimanga tale, ovvero passivo. Se il popolo avesse sul serio una volontà, se la palla volasse a destra e a sinistra non reagendo ai calci ma per una sua libera scelta, o fosse tanto fissa da non riuscire a sviarla, come si potrebbe giocare? La palla ed il campo, nonostante siano essenziali allo svolgimento del gioco, devono rimanere passivi.

Freneticamente passivi

Proprio in questa crepa si infila la metafora calcistica di Renzi, aprendo a nuove, inaspettate prospettive.
Non dice "questo è un derby fra Noi e Loro", disponendo una scena che metterebbe "in campo" i partiti ed i personaggi, per vedere chi di loro conquista il cuore (la porta) e l'attenzione (la palla), o riesce ad irretire l'attenzione (la palla) portandola verso argomenti lagrimevoli e sovraccarichi emotivamente (la porta).
Nella metafora di Renzi ad affrontarsi sono due emozioni, due atteggiamenti: la speranza e la rabbia. Sembrerebbe un ingresso nel mito: la squadra-partito che si identifica con l'emozione di cui si fa portatrice. Dobbiamo immaginare Renzi speranzoso e Grillo arrabbiato? E' qui il senso della metafora? Io non credo. Come abbiamo visto, una delle differenze specifiche e difficili da esorcizzare che mette a rischio questa  metafora, è il fatto che il popolo svolge alle elezioni una quantità di ruoli che eccedono quelli del pubblico calcistico, e a ben vedere le squadre in campo non arrivano mai a confrontarsi se non attraverso il medium del consenso popolare.
Renzi fa dunque il passo ulteriore che ricuce questa metafora ormai lisa: la rabbia è quella "della gente", e così la speranza. La speranza della gente incarnata da Renzi e la rabbia della gente nei confronti di Renzi, incarnata da Grillo devono confrontarsi direttamente. Abbiamo l'elettore come terreno di gioco, le sue emozioni nel ruolo di giocatori, e la coppia Renzi-Grillo ridotta a poco più che simboli psicanalitici, figure vuote sulle quali proiettare ciò che è davvero importante: Tu.

Tu
Ciò che Renzi dice è: voi dovete vincere voi stessi, vincere le vostre emozioni negative ed affidarvi alle emozioni positive. Io sono la vostra speranza. Lui è la vostra rabbia. Non vorreste non essere più arrabbiati? Bisogna eliminare la rabbia. Non vorreste sperare di nuovo? Avete bisogno di me.
Il discorso retorico non fa che mimare il processo di pensiero che vuole suscitare. Lo incolla sopra una metafora, per fingere di stare parlando di qualcosa, ma il suo funzionamento è ben più subdolo.
Spera nella speranza. Odia l'odio.
Basterà a salvarti, dal momento che il mondo funziona interamente a tua immagine e somiglianza, e la sua complessità è perfettamente comprensibile nei termini di una economia emotiva booleana.

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