17/06/14

E tu allora?

L'altro giorno, mentre ero al bar con alcuni amici, si parlava di capitalismo, di ricchezza, di società industriale avanzata e di meccanismi di esclusione.
Uno dei suddetti amici, che per comodità chiameremo M., era nel bel mezzo di una filippica contro lo sfruttamento, la povertà, la precarietà eccetera quando un altro, che per comodità chiameremo L., lo interrompe proponendogli una delle obiezioni più diffuse e frequenti a questo genere di filippiche.

"Scusa, ma tu che parli e parli, non sei anche tu come noi nel bel mezzo di questo capitalismo che ti sembra tanto mostruoso? Non porti scarpe fatte da bambini dall'altra parte del mondo? Non mangi i frutti di agricoltura transgenica ed antiecologica? Non lavori per uno stipendio? Non piacerebbe pure a te essere ricco? Non la guardi la TV? Non ce l'hai un PC? E uno smartphone? E allora che parli a fare? Quando sarai sopra un monte a fare l'eremita, allora si che potrai parlare."

M., preso in contropiede, si mette a cavillare, giustificando malamente le scarpe, il lavoro, lo smatrphone e tutto il resto, chiude con una alzata di spalle e alla fine dice: "mica posso fare da solo. Ci vorrebbe una rivoluzione." E tira un bel sospirone scoraggiato. A quel punto qualcuno chiama un altro giro, il flusso viene interrotto, la serata prosegue. Si fanno altri discorsi e quello iniziale viene ben presto dimenticato, come è nella natura dei discorsi da bar.



Eppure, il giorno dopo e quello dopo ancora la domanda di L. mi insegue. La sento crescere mentre mangio, mentre dormo, sempre più pressante. Realizzo che è ovunque: su internet, per strada, in TV. "E tu? Non sei anche tu coinvolto? E allora cosa parli?". A proposito di qualunque cosa. Dalla crudeltà sugli animali alla corruzione nelle grandi opere, cambia il contesto ma non quel minuscolo, velenoso meccanismo discorsivo, tanto diffuso da aver suscitato un meme:



Cosa ha di diverso dalle mille altre frivolezze che si ascoltano ogni giorno? Che cosa lo rende così pericoloso? Alla fine, un campanello segna la fine-cottura nella mia testa, e riesco a partorire una serie di illazioni e speculazioni al riguardo che, se non mettono la parola fine alla questione, almeno mi fanno dormire la notte.

In primo luogo, la questione è il rapporto fra dentro e fuori. Perché il ragionamento di cui sopra abbia corso, deve potersi distinguere un "dentro" ed un "fuori" del "sistema". Il "sistema", in quanto tale, ingloba tutto ciò che si trova al suo "interno", e si oppone a ciò che è "fuori".
In secondo luogo, la questione di ciò che è dentro o fuori rispetto al sistema si pone sul piano delle cose e di conseguenza sul piano delle persone. Il "sistema" si identifica con una serie di oggetti e luoghi: lo smartphone, il supermercato, il cinema multisala, il MacDonald, sono il sistema. Dunque, è "dentro" il sistema rispettivamente chi compra, chi vende, chi lavora per produrre e chi consuma gli oggetti e gli spettacoli che lo compongono. E' "dentro" il sistema chi va al MacDonald, chi supporta una squadra di calcio, chi possiede uno smartphone e così via.
In terzo luogo: la critica al sistema e la sua eversione sono possibili (senza ipocrisia) solo da fuori. Solo chi non è caduto nella rete, chi non è stato "contagiato" ha la purezza per pronunciarsi contro. Troppo facile fare la rivoluzione con i soldi di mamma. E' da chi è solo una vittima del sistema, chi non ne ha mai conosciuto le comodità che possiamo aspettarci una critica legittima, una azione incisiva che non sia "solo chiacchiere".

rivoluzionari accreditati

Il primo punto è una ipersemplificazione: ciò di cui si parla come "il sistema" non è (non può essere mai) una estensione omogenea di pratiche, comportamenti, modi di pensare. Piuttosto, esso si presenta ovunque come il lavoro incessante di controllare e reprimere le contraddizioni che produce, lo sforzo di riempire le crepe che si aprono ovunque. Mettere in un fascio il CEO di McDonald, il cassiere ed il cliente significa eludere il problema delle relazioni di potere e desiderio che intercorrono fra l'uno e l'altro (convenientemente mediate proprio da quell'insieme di principi ideologici che chiamiamo capitalismo). Significa affermare che dal momento che fanno parte dello stesso sistema essi non possano lottare costantemente l'uno contro l'altro per vantaggi momentanei o duraturi. Significa dimenticare le possibili linee di frattura, e sancire fin dall'inizio l'impossibilità del collasso del sistema.
A questo oblio mirato serve il secondo punto. Come già sa chi abbia letto Il Capitale, il feticismo della merce è quell'inganno che traveste i rapporti di potere sociali in rapporti fra oggetti. Il capitalismo secondo il luogo comune riportato da L. è uno smartphone, non il peculiare modo di produzione dello smartphone teso a ridurre i costi e accumulare plusvalore sfruttando ad esempio studenti cinesi. Solo a partire da questa confusione è possibile credere veramente alla brutalizzante semplificazione di cui sopra. Il "sistema" diventa così un insieme di oggetti, di luoghi, di persone avendo a che fare con i quali ci rende "parte del problema" e dunque certamente non della soluzione.
E veniamo al terzo punto: dati i presupposti di cui sopra, l'unico modo per "uscire" dal sistema è evitare qualunque cosa prodotta "all'interno", qualunque luogo che sia "dentro". Significa gran parte della tecnologia, della merce e delle persone, nonché gran parte dei luoghi urbani. Divenire eremiti. Una condizione del genere, paradossalmente, se consegna all'eroico individuo che la conseguisse il diritto di dire la sua sul sistema "da fuori", lo priva al contempo di ogni strumento efficace di lotta.

"Ora finalmente possiamo parlare di Marxismo"

Dunque, ricapitolando, la risposta a M. potrebbe essere: il sistema non è fatto di cose, ma di persone, ed anzi di relazioni fra persone, di pratiche sociali, di desideri ed aspirazioni, della costruzione di un immaginario e di una temporalità. Nel momento in cui coltiviamo pratiche, desideri, relazioni ed un immaginario divergente, stiamo coltivando la possibilità di una variazione, stiamo allargando una crepa. Smartphone o non smartphone. Facebook o non Facebook. Il sistema non è coerente, e le sue contraddizioni possono essere il motore della sua successiva evoluzione o il seme del suo collasso. Sta a quelli che stanno "dentro", realizzare di avere una scelta lì dove si trovano, e che tale scelta non riguarda per forza la totalità del reale. Non è vero che la rivoluzione si fa in mezz'ora o non si fa affatto. Le crepe si accumulano, fanno del "dentro" un "fuori", permettono la circolazione e mettono in pericolo la solidità degli apparati di controllo e sfruttamento.



Il problema veramente spinoso è: perché M., che è una persona colta ed ha certamente letto Marx non fornisce questa risposta?
Il motivo è che M. parlando del sistema, vorrebbe avere davanti un nemico tangibile. Dopotutto, le sue lamentele davanti al bar servono a farlo sentire meglio, ad alleggerire la frustrazione addossandone la responsabilità a "qualcun altro". Non gli serve sapere per filo e per segno come funziona l'apparato di controllo, sfruttamento e distrazione che lo circonda (e comprende). Gli serve qualcuno contro cui puntare il dito. Per questo non può permettersi di rinunciare ai feticci che a sua volta alimenta (ricordate il discorso sui rettiliani di qualche post fa?).
In più, M. è un militante. Anche se magari potrebbe convincersi che il sistema non è fatto di cose, non lo si convincerà mai che non è fatto di persone. La rivoluzione che immagina è lo scontro di due volontà: la volontà del "sistema" di schiacciare gli individui, la volontà dei rivoluzionari di distruggere il sistema. Il paradigma dentro-fuori si ripropone. I secondi, con la loro ribellione istituiscono un "fuori" e lo amministrano. Lungi dal criticare la struttura fondamentale di questo pernicioso argomento, lo alimentano, e finiscono per diventare paranoici cercando di giustificare ogni singola compromissione necessaria, o cercando di evitarle tutte (stile di vita che richiede un dispendio di energie tale da essere incompatibile con qualunque serio tentativo di influenzare la società).

Ma la prossima volta che lo incontro glielo dico. E insieme andremo a menare L. Che è quello che si merita.


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